Questa settimana faccio onore ad uno dei miei autori preferiti: Alba Marcoli.
Una psicologa che attraverso l’utilizzo delle metafore ha affrontato “nodi” legati al mondo dei bambini ed alla meravigliosa sfida di esserne i genitori.
I suoi testi sono profondi, interessanti ma soprattutto scritti con un linguaggio comprensibile anche ai “non addetti ai lavori”, pregio che ne permette quindi una diffusione degna dei “soggetti” di cui tratta.
In uno dei suoi libri (“Il bambino arrabbiato“, Mondadori, 1996) affronta il tema delicato e doloroso del lutto, cioè come si può aiutare un bambino ad affrontare la morte di un genitore, situazione che mette in crisi anche l’adulto più maturo e compito e che quindi appare in tutta la sua drammaticità se paragonata al mondo psichico di un bambino.
Di fronte al perenne dilemma sulla necessità di renderlo partecipe o meno come anche sulle modalità più idonee a sostenerlo in un momento così doloroso, il messaggio dell’autrice prende la forma di una metafora.
Una figura retorica che sottolinea quanto sia importante rispettare il suo dolore e quanto la nostra voglia di protezione può diventare per lui invece una complicazione perchè “nessuno può evitare ad un bambino che la incontra sulla propria strada, la difficoltà e la realtà di questa prova” (p. 111).
Per quanto il desiderio più naturale e comprensibile per un genitore sia quello di alleviargli ogni pena, in realtà privarlo della verità, di partecipare al lutto generale e di vivere le occasioni in cui può piangere, disperarsi e ribellarsi significa portargli via anche un’altra cosa: il suo dolore, la testimonianza ultima della presenza della mamma o del papà proprio nel vuoto che ha nel cuore, nella disperazione per la loro assenza e quindi di tutte quelle emozioni che, per quanto negative, questa circostanza provoca naturalmente in lui.
Vivere un dolore significa lentamente elaborarlo e digerirlo.
Buona lettura!
La tartarughina che non voleva più uscire dal guscio
Quando nel bosco delle Sette Querce arrivava la pioggia, tutti gli animali si rifugiavano nelle loro tane ad aspettare che finisse, guardando l’acqua che scendeva dal cielo, si posava sulle foglie e poi scivolava sul terreno per dar da bere alle radici delle piante. Quando poi la pioggia cessava, tutto il bosco faceva festa e usciva ad ammirare il lucido delle foglie e dei sassi che brillavano al sole.
Fu così che un giorno, dopo una pioggia, alcuni cuccioli del bosco se ne andavano a spasso in mezzo ai cespugli e facevano a gara per trovare il sasso più bello e brillante. Ma mentre discutevano per decidere quale fosse il più splendente ecco che si sentì una voce dietro a un cespuglio che diceva: «II mio è il più bello di tutti, ha tante piccole macchie sopra».
Gli altri cuccioli si avvicinarono e videro questa piccola pietra che sporgeva dalla terra, ma si resero subito conto che era un po’ strana. Provarono a toccarla col muso ed ecco che la pietra fece un piccolo balzo, piccolissimo, poi tornò ferma come prima. Riprovarono con le zampette e anche stavolta ci fu. un balzo quasi impercettibile, poi di nuovo il silenzio come prima. Allora, incuriositi, i cucciali andarono a chiamare Papà scoiattolo che abitava da quelle parti e lo portarono sul posto.
«Siete proprio dei cuccioli che devono ancora vedere tante cose» disse Papà scoiattolo con l’aria un po’ divertita. «Questa non è una pietra, è una piccola tartaruga, ma è proprio molto, molto piccola. Chissà dov’è la sua mamma, provate a cercarla!». E i cuccioli si sparpagliarono per il bosco, ma della mamma tartaruga non trovarono nessuna traccia. Era proprio sparita, non c’era più, era come se la piccola tartaruga fosse comparsa da sola, dal nulla e per quante ricerche potessero fare anche gli adulti, di mamma tartaruga non si trovò traccia.
«Ma perché di questa tartarughina non si vedono nè la testa, nè le zampe?» chiese un piccolo.
«Forse l’avete spaventata e si è nascosta bene nel suo guscio, ma aspettate un po’ e vedrete che uscirà.»
E invece, aspetta e aspetta, dal guscio non uscì proprio niente e i cuccioli erano sempre più incuriositi.
Fu così che fecero un carrettino di foglie e di frasche, ci misero sopra la tartaruga che era piccolissima e lo tirarono fino allo spiazzo delle Sette Querce. Quando finalmente questo strano corteo arrivò, si avvicinarono tutti incuriositi, ma la tartaruga non accennava a mettere fuori la testa dal guscio; ormai aveva deciso di fare il sasso e sasso continuava a essere.
«Vieni a vedere che cosa abbiamo trovato, Leone Criniera d’Oro» dissero i cuccioli, e il vecchio leone si avvicinò a vedere. «Perché non esce dal suo guscio?» insistettero i piccoli.
«Vediamo un po’» riflette pensieroso il leone. «Che cosa potrebbe fare la tartarughina se mettesse la testa fuori dal guscio?»
«Potrebbe fare tantissime cose» ribatterono i cuccioli sempre più stupiti. «Potrebbe camminare, andare in giro per il bosco, cercarsi da mangiare, dei compagni con cui giocare e tante altre cose ancora».
«Eh, già, è proprio così. Allora forse questa tartarughina in questo momento non ha voglia nè di camminare, nè di andare in giro per il bosco, nè di cercarsi da mangiare o di giocare».
«Ma se un cucciolo non mangia, muore» disse spaventato un piccolo ghiro a cui la madre doveva sempre raccontare le storie per farlo mangiare.
«Ma allora la tartarughina morrà?» chiese con gli occhi sgranati un passero che si dondolava su un ramo.
«Non lo sappiamo» rispose il leone. «Forse la tartarughina vuole solo fare come se non fosse viva.»
«Ma perché?» chiesero tre o quattro vocine tutte insieme.
«Questo lo dobbiamo scoprire noi» rispose il leone. «A te, per esempio, anatroccolo Geronimo, quand’è che non piacerebbe essere vivo?»
«Mah…» ribattè l’anatroccolo colto alla sprovvista «non so, perché a me spiacerebbe non fare più tutte le cose che so fare, però, forse, la cosa che mi spiacerebbe di più sarebbe che morissero la mia mamma o il mio papa e allora forse per un pò mi passerebbe la voglia di giocare».
«Io invece avrei proprio bisogno di giocare tutto il giorno, continuamente, per non pensarci» disse una piccola puzzola grattandosi la testa.
«A me passerebbe la voglia di giocare se nessuno mi volesse più bene» continuò un riccio appallottolandosi tutto per difendersi con le sue spine.
«E a me se avessi sempre qualcuno che mi comandasse di fare questo o quello, continuamente, come se io fossi un orsetto di peluche e non uno vero» disse con un sospiro un piccolo orso che ogni tanto era un pò in crisi.
«A me passerebbe la voglia di giocare se fossi solo al mondo» sospirò un pettirosso che si dondolava su un giunco.
«Ma allora forse è per questo che la tartarughina non vuole più mettere la testa fuori dal guscio!» sbottò un cerbiatto tutto soddisfatto di aver forse capito il perche «Vuol dire che si sente proprio sola al mondo!»
«Un momento» intervenne Lupetto «ma la tartarughina ha perduto davvero la sua mamma, se nessuno di noi è riuscito a trovarla. Forse è per questo che non vuole più nè camminare, nè giocare».
«Anche questo è molto probabile» intervenne Criniera d’Oro «che cosa può essere successo alla mamma della tartarughina?»
«Non lo sappiamo; forse è partita.» «O forse è stata catturata.» «O forse è morta», sospirò Orsetto, in mezzo a tutte le altre voci.
«Dev’essere sicuramente morta, oppure è stata catturata, perché altrimenti una mamma non abbandona il proprio cucciolo» ribattè un altro. «Però noi vogliamo che Tartarughina viva e allora potremmo fare un bel girotondo intorno a lei e metterci a cantare tutti insieme per svegliarla».
«Oppure potremmo portarla in una delle nostre tane per farla sentire al sicuro.» «Però potremmo anche farle una tana tutta per sé, così si sentirebbe più sicura che nella tana di un altro.» «Sì, però dovremmo fargliela vicino a una delle nostre tane, altrimenti si sentirebbe ancora sola.» «Oppure potremmo far finta che la sua mamma sia ancora viva e che debba tornare da un momento all’altro» insistette un altro cucciolo a cui non piaceva proprio l’idea che una persona non tornasse più.
«Tutte queste cose si potrebbero fare tranquillamente» ribattè Leone Criniera d’Oro. «Il problema è ora di scegliere quelle che possono aiutare di più Tartarughina a mettere la testa fuori dal guscio e a tornare a camminare, a giocare e a mangiare. Cominciamo dall’ultima proposta: se le dicessimo che la sua mamma non è morta, ma che tornerà da un momento all’altro, voi pensate che questo la aiuterà ?»
«Certamente!» ribattè convinto il piccolo daino che aveva fatto la proposta, sorpresissimo del fatto che a qualcuno potesse venire in mente un pensiero diverso dal suo.
«Ma che cosa succederà quando Tartarughina passerà un giorno dopo l’altro ad aspettare una mamma che non tornerà più?» chiese Orsetto che, quando era più piccolo, aveva aspettato ancora per tanto tempo il suo nonno dopo che era morto.
«Secondo me» ribattè una formica che aveva ascoltato attentamente «sarà ancora più infelice di prima perché penserà che gli altri le hanno detto una bugia e che quindi non ci si può proprio più fidare di nessuno e così si sentirà ancora più disperata e sola al mondo.»
«È vero» soggiunse un merlo saltellando sull’erba fresca. «Secondo me la soluzione non è quella di dire a Tartarughina che la sua mamma non è morta, ma dirle esattamente come stanno le cose.»
«Ma tu pensi che non si dispererà se glielo diciamo?» insistette il piccolo daino che non riusciva a darsi pace su questo punto.
«Certo che si dispererà» intervenne Criniera d’Oro «ma è giusto che un cucciolo pianga e si disperi se resta solo perché la sua mamma non c’è più. Quello che non è giusto è che non voglia più vivere, perché un cucciolo ha tutta una vita davanti a sé per diventare grande e per trasmettere ad altri cucciali la vita che la sua mamma ha trasmesso a lui.»
Adesso le cose erano un po’ più chiare di prima. L’idea di fare come la piccola tartaruga che si era ritirata nel suo guscio per non fare più tutte le cose che a loro piacevano tanto, ai cucciali del bosco proprio non andava. Che senso aveva essere vivi se uno non poteva nè camminare, nè giocare, nè mangiare, perché qualcosa nella sua testa gli impediva di aver voglia di farlo? Fu così che i cuccioli decisero che non si sarebbero dati pace finché la tartarughina non avesse messo fuori dal guscio la testa e le zampe.
Il parere che prevalse fu quello di tenerla alla Scuola dello Spiazzo, che era il posto giusto per imparare a uscire dal proprio guscio.
E così, per un’altra settimana, la tartarughina rimase lì, giorno e notte. Di giorno sentiva tanto chiasso e molta allegria intomo a lei, poi le arrivavano da lontano le voci degli anziani che raccontavano le storie del Bosco dei Sette Querce nei tempi passati e, anche se faceva finta di non sentirle, quelle parole a poco a poco si fermavano nella sua testa. Quando poi tramontava il sole e calava la notte, la tartarughina si accorse che veniva tutta ricoperta con un bel tetto di frasche che la proteggeva e che ogni sera c’erano un adulto e un cucciolo che si fermavano a dormire vicino a lei, in una tana provvisoria, per farle compagnia. E dopo che questo avvenne per una settimana intera, ecco che un bel giorno si rese conto che le sue zampette avevano voglia di uscire e che la sua testa aveva nostalgia dell’aria fresca del bosco.
Fu il piccolo daino che per primo si accorse che le zampette di Tartarughina si muovevano, e corse subito a chiamare tutti gli altri. Quando i cuccioli arrivarono, lei era lì con le zampe e la testa che le spuntavano tìmidamente dal guscio, pronte a tornare dentro. Invece i cuccioli erano così felici che le fecero tantissime feste, perché questa era anche una loro vittoria e la piccola tartarughina scoprì di essere di nuovo contenta come da molto tempo non le succedeva più.
Quella sera la lezione alla Scuola dello Spiazzo fu dedicata a Tartarughina che aveva deciso di tornare a camminare e a giocare. Cuccioli e anziani si diedero da fare e le prepararono una bella tana proprio vicino alla Scuola dello Spiazzo, non lontano da quella di Criniera d’Oro, cosicché lei sapeva di avere un amico vicino per i momenti in cui si fosse sentita sola o piena di paura.
E così a poco a poco anche il nuovo piccolo entrò a far parte della Scuola e quando furono passati tre inverni, tre primavere, tre estati e tre autunni, anche per Tartarughina si celebrò la festa d’addio allo Spiazzo perché ormai era diventata grande e aveva tanti amici e tante cose da fare e da costruire nel bosco. (pp. 105-110)
Per qualsiasi ulteriore domanda, non esitare a contattarmi scrivendomi a: psicologia@tentazionedonna.it
Allego i titoli di altri libri dell’autrice. Sono interessantissimi e vi consiglio di leggerli!
- Marcoli A., Il bambino lasciato solo. Favole per momenti difficili, Mondadori, 2007.
- Marcoli A., Il bambino arrabbiato. Favole per capire le rabbie infantili, Mondadori, 2004.
- Marcoli A., Il bambino nascosto. Favole per capire la psicologia nostra e dei nostri figli, Mondadori 2004.
- Marcoli A., Il bambino perduto e ritrovato. Favole per far pace col bambino che siamo stati, Mondadori, 2004.
- Marcoli A., Passaggi di vita. Le crisi che ci spingono a crescere, Mondadori, 2004.
Gabriella Valacca dice
Gradevole la favola, simpatiche e sensibili l’Autrice e Cristina.
Cari saluti,
Gabriella Valacca
Dr. Cristina Colantuono dice
Grazie Gabriella!
In questi casi la sensibilità è d’obbligo e sono contenta che sia arrivi questo mio intento ai lettori!