Storie e stereotipi nel brulicare di volti ed emozioni nella grande metropoli, ”prossimo treno 5 minuti”, lei gira con la busta della spesa e il bambino di 4 anni che, stanco, segue ogni passo della mamma, lui si porta dietro il proprio lavoro in una busta, l’amico si concede una birra rinfrescante all’ombra del muro della stazione. Tutto scorre come un video “mandato avanti” con il telecomando: lavoro, casa, figli strada, ancora lavoro… “Fai un salto all’agenzia stamattina”…
Ma cos’è il lavoro?
E’ quell’insieme di componenti che rendono l’individuo libero, autonomo, capace, che consentono la strutturazione della propria persona rispetto all’ambiente circostante, alla cultura.
Ma cosa succede quando le culture nello zaino sono due? E quando il saper impastare, condire e infornare una pizza richiede prima di imparare cosa significa la parola “pizza”?
Parliamo di 4 milioni e 270 mila stranieri presenti attualmente sul territorio italiano.
Per effettuare questa analisi abbiamo bisogno di prendere in considerazione diversi elementi come la condizione e il livello culturale di partenza, la motivazione a lavorare, le possibilità relative all’età e al genere che vanno a miscelarsi con le componenti sociali e di contesto, la cultura e gli stereotipi.
Sappiamo che innanzitutto lo straniero affronta un complicato processo di adattamento e negoziazione della propria cultura di origine che presenta varie sfumature: dall’assimilazione totale della cultura ospitante, all’emarginazione e chiusura tra le “mura sicure” dei propri connazionali.
Le problematiche legate alla vita quotidiana comprendono il sostentamento, il bisogno di un abitazione stabile, la sensazione continua di esclusione, il bisogno di un occupazione anche saltuaria, il contrasto culturale e religioso e naturalmente le difficoltà di comunicazione legate alla lingua.
Ci si sposta per sostenere la “lontana famiglia in patria”, per cercare fortuna, per bisogno di affermazione. Il 73% risulta occupato e per la maggior parte sono muratori, cuochi, assistenti domestici, infermieri.
E le aziende che assumono??
Richiedono velocità, prontezza, puntualità, serietà e volontà. Lamentano la scarsa conoscenza della legislazione e della lingua e la diversa cultura del lavoro. Spesso pagano meno di quello che pagherebbero un italiano.
Lavorare è un’occasione di autoaffermazione nel momento in cui vi è la possibilità di scegliere, altrimenti diventa prestazione forzosa indispensabile alla soddisfazione dei bisogni primari.
Non è giusto vivere il paradosso: “c’è bisogno che qualcuno svolga i lavori più umili su cui poggia l’economia, per poi essere degradato perché considerato sporco”….
Ma le donne in tutto ciò??
Sono il 49,9% impiegate nell’industria dei pellami, alimentari, lavoro domestico e interinale. Lavorano per mantenere la famiglia, presentano un maggiore attaccamento per i figli e per la cultura d’origine, dati che hanno mostrato come queste si spostino periodicamente grazie a dei visti turistici periodicamente rinnovati.
Il lavoro è doppio per una mamma e lo sono anche i rischi di sfruttamento per eccesso di ore lavorative, irregolarità e violenze sul posto di lavoro. Lo stereotipo fa da sfondo e genera stress facendo si che l’adattamento in corso affronti diverse crisi riguardanti il rapporto con il proprio corpo, sentito diverso e non amato, con il tempo quasi non appartenente alla propria persona, nell’impossibilità di realizzare i propri desideri, e con il gruppo sociale di appartenenza, secondo il concetto del “piede in 2 scarpe”, la loro cultura richiede un rigido rispetto delle regole che però non si conformano alla vita nel paese ospitante.
Perciò è necessario operare delle scelte che sono causa ancora di maggiore stress.
Ne sono triste testimonianza i delitti di Pordenone e di Brescia.
Infine, dai dati provenienti dai ricoveri e day-hospital sappiamo che le patologie più frequenti riscontrate sono stati allucinatori causati da sostanze e da alcol e forme di schizofrenia con pensieri di morte.
Ormai gli stranieri in Italia sono una realtà, piuttosto che recriminare e puntare il dito… forse è il caso di trovare soluzioni a misura d’uomo!
E allora, definito questo quadro di partenza, le soluzioni più immediate sembrano essere:
- programmi di prevenzione interni alle aziende e ai vari gruppi sociali basati sul management delle diversità e sulla capacità di problem solving;
- è necessario agire sulle rappresentazioni, è provato che la conoscenza ravvicinata con l’individuo riduce notevolmente lo stereotipo;
- vi è la necessità di programmi informativi sulla popolazione;
- d’altra parte per facilitare l’integrazione sarebbero necessari corsi base di lingua ed educazione scolastica, orientamento, politiche di collocamento e tutela, regolarizzazione dello stato di cittadinanza, tutela contro violenze, mobbing e sfruttamento, prevenzione contro gli infortuni e una regolare copertura assicurativa.
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