Non si fa in tempo a combattere una battaglia sul femminicidio che ne spunta un’altra sui diritti delle donne. E’ così, per quanti anni di battaglia si possono affrontare sulla parità dei sessi e sul femminismo in generale, per l’argomento “stereotipi sulle donne” non basteranno mai parole a difesa.
Ed ecco allora Terre des Femmes, un’organizzazione tedesca per i diritti delle donne che si batte per la sensibilizzazione alla parità tra i sessi in ogni aspetto della vita si fa promotrice di una campagna pubblicitaria in merito: non misurare una donna da ciò che indossa, ovvero Don’t measure a woman’s worth by her clothes (i manifesti sono stati disegnati da Theresa Wlokka e dagli studenti della Miami Ad School di Amburgo). Non è un luogo comune soltanto maschile far partire pregiudizi su una donna soltanto a giudicare dall’abbigliamento; a quante donne è capitato essere vittime o carnefici dell’argomento? Basta poco, o è bastato poco, anche dietro ai banchi di scuola – solo per citare qualche esempio – per esser additata “bacchettona” per una gonna troppo lunga al liceo, od essere considerata una “tipa facile” all’università per una scollatura audace dal voto “sicuro”. Nessuna è stata mai squadrata dalla testa ai piedi per un leggins più elastico su un paio di tacchi vertiginosi? Suvvia. . Infatti, per alcuni, il giudizio su una donna si basa spesso su quello che indossa. Questa campagna invece, vorrebbe rovesciare questi stereotipi sulle donne ponendo con un righello immaginario su un corpo femminile delle “altezze” per comprendere “le etichette” apposte sulle donne in base alla lunghezza della loro gonna, della loro scollatura o all’altezza dei loro tacchi.
Per ognuna c’è un metro di paragone. La campagna di sensibilizzazione contro questi stereotipi sulle donne è strutturata su tre foto che ripropongono parti del corpo femminile e le loro “misure”: partendo dal collo e scendendo verso il décolleté si avrà quindi la donna pudica, quella fuori moda, quella noiosa, quella provocante, quella sfacciata, la donna alla costante ricerca di un uomo, la donnaccia e, infine, la sgualdrina. Inoltre, si tende a far crollare tali pregiudizi anche in merito alla lunghezza della gonna e l’altezza del tacco, passando dalla donna pudica che preferirà le ballerine alla sgualdrina che invece indosserà un tacco vertiginoso.
Ma è davvero questo il messaggio lanciato da un capo d’abbigliamento? E’ davvero un mezzo per essere “misurata”? Ovvio come in tutte le cose “comuni” c’è sempre l’eccezione che conferma la regola o il rovescio della medaglia che dir si voglia, a testimonianza del fatto che seppure ci siano donne intente a lottare per i propri dirittti ci sono anche “quelle” che traggono benefici dai famosi stereotipi sulle donne, che sia per un abbigliamento provocante per un briefing lavorativo piuttosto che un appuntamento galante, ma, indipendentemente da ciò che si pensa dei vestiti di qualcuno (con annessa scollatura) chi li indossa è ancora una persona e deve essere trattata come tale.
Infine, ognuna è libera di vestirsi (e mostrarsi) come le pare, infondo non contano i segni esteriori a garantire la sostanza interiore, quello che appare può essere illusorio e bisogna quindi diffidare dalle apparenze confidando invece sulla sostanza.
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