Il Mobbing è l’argomento di questa settimana perchè si tratta di un fenomeno molto diffuso ma difficile da individuare, da ammettere e purtroppo da denunciare.
È nella realtà lavorativa che nasce e si sviluppa il mobbing, realtà ossessionata dalla competizione.
Questo fenomeno rappresenta una violenza esercitata sul luogo di lavoro, da parte di un superiore, di un collega o di un gruppo di colleghi, con intenti discriminatori che puntano all’emarginazione progressiva della vittima in modo da indurla al suo “spontaneo” allontanamento da un ambiente reso ostile, è una vera e propria forma di terrorismo psicologico e in quanto tale determina significative sofferenze sia sul piano psichico che su quello psicosomatico.
Nasce in Svezia negli anni ‘80 con le prime ricerche effettuate da Leymann, maggiore studioso del fenomeno, il quale indica due condizioni necessarie perché un ambiente di lavoro possa essere caratterizzato dalla presenza di mobbing: routine del conflitto, cioè si deve verificare un episodio almeno una volta a settimana e sistematicità e prolungamento delle azioni nel tempo di almeno sei mesi.
Il mobbizzato, ovvero la persona oggetto di questo fenomeno è sicuramente colui che soffre di più e che subisce, chiunque può trovarsi in questa situazione e chiunque può essere mobber, ovvero colui che svolge un’azione psicologica a carattere persecutorio nei confronti di un subordinato.
Vengono riconosciute diverse tipologie di mobbing, nello specifico:
- Mobbing verticale o dall’alto: il mobber è in una posizione superiore rispetto alla persona designata come oggetto del processo di mobbing: un dirigente, un capo reparto, un capo ufficio, un collega di mansioni superiori. Questo tipo di mobbing comprende atteggiamenti ed azioni riconducibili alla ben noto teoria dell’abuso di potere, risultano solitamente più inclini a tali atteggiamenti coloro che posseggono uno stile di leadership tradizionale, autoritario e severo; ma non ne sono immuni coloro che preferiscono uno stile amichevole e familiare;
- Mobbing orizzontale o tra pari: il mobber ed il mobbizzato sono allo stesso livello, due colleghi con pari mansioni e possibilità. Si assiste ad invidie, pettegolezzi e conflitti. Umiliazioni e boicottaggi diventano strumenti privilegiati in una lotta quotidiana per emergere dalla massa;
- Mobbing dal basso: questa tipologia si registra in percentuali molto ridotte. In questo caso il mobber è in una posizione inferiore rispetto a quella della vittima, ciò accade quando l’autorità del capo viene messa in discussione da uno o più sottoposti.
Leymann individua le azioni mobbizzanti più significative suddividendole in 5 categorie:
1) Attacchi alla possibilità di comunicare: si esprime tramite una forte e costante limitazione alle possibilità di comunicare con i colleghi oltre alla privazione dei mezzi di comunicazione (telefono, computer, ecc.), l’estromissione dalle decisioni, l’esclusione del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale;
2) Attacchi alle relazioni sociali: si cerca di provocare un vero e proprio isolamento fisico della persona, che viene trasferita in luoghi isolati con lo scopo di essere costantemente esclusa da ogni dialogo e forma di comunicazione all’interno del gruppo di lavoro, e impedendo così che gli altri lavoratori le rivolgano la parola, comportandosi come se non esistesse;
3) Attacchi all’immagine sociale e reputazione del lavoratore: la persona mobbizzata diviene bersaglio di offese e insulti sul piano personale, professionale (per esempio gli vengono impartiti ordini contraddittori per indurla in errore e discreditarne le capacità lavorative), sulle proprie convinzioni personali (religiose, sessuali, morali, ecc.);
4) Attacchi alla qualità professionale: parliamo di veri e propri «sabotaggi» (sparizione di strumenti necessari per eseguire il lavoro, assenza di manutenzione di dispositivi e apparecchi); incarichi umilianti, senza senso o comunque non confacenti alle competenze del lavoratore, fino al progressivo demansionamento con gravi conseguenze sull’autostima;
5) Attacchi alla salute: possono venire affidati compiti gravosi o pericolosi, si costringe la persona a lavorare in luoghi che nuocciono alla sua salute, negandole periodi di ferie o di congedo.
E’ bene sottolineare però che non tutti i conflitti all’interno delle organizzazioni sono da definirsi mobbing. Poiché questo possa essere considerato tale, devono sussistere alcune condizioni tra cui, la persistenza degli attacchi, in maniera costante, da almeno 3 mesi, il nascere di una sintomatologia di natura psicosomatica e il verificarsi di una serie di illeciti compiuti dai “Mobber” atti ad ostacolare volutamente l’attività lavorativa.
La persona mobbizzata sembrerebbe essere una persona ansiosa, insicura, maggiormente sensibile e con un basso livello di autostima.
Per quanto riguarda le conseguenze sulla salute psicofisica del lavoratore possono manifestarsi:
- sintomi neuropsichici attribuibili allo stress, ad esempio disturbi psicosomatici quali tachicardia, disturbi digestivi, dolori muscolari, dolori articolari, gastriti, tremori e sudorazione alterata, dermatosi, psoriasi e calo delle difese immunitarie;
- Disturbi di tipo emotivo quali ansia, disturbi del sonno, crisi di pianto senso di impotenza, sindromi depressive e altri disturbi psicologici.
- Disturbi di tipo comportamentali quali bulimia, anoressia, tabagismo, assunzione eccessiva di alcool e psicofarmaci.
- Se la situazione si protrae possono manifestarsi, o aggravarsi, malattie di tipo organiche, come ad esempio ipertensione arteriosa e disturbi gastro-intestinali.
In generale, la risposta del soggetto alla violenza psicologica e morale appare dal punto di vista psichico imperniata su due poli, sindrome ansiosa e sindrome da stress ed infatti gli effetti del mobbing sono stati classificati come danno biologico, ovvero come una lesione morale che viola l’integrità psico-fisica del soggetto sottoposto a vessazioni.
Oltre che alla salute del lavoratore, questa situazione danneggia anche il datore di lavoro perchè chiaramente la produttività cala infatti del 70%.
Per comprendere la diffusione di questo fenomeno, basti pensare che nel nostro Paese i dati, secondo un monitoraggio effettuato dall’Ispesl (l’Istituto per la prevenzione e la sicurezza del lavoro), sono circa un milione e mezzo i lavoratori italiani vittime del mobbing su 21 milioni di occupati, è più presente al Nord (65%) e colpisce maggiormente le donne (52%). L’Italia in fatto di frequenza del fenomeno, è comunque al di sotto della media europea.
In ordine alla composizione, oltre il 70% lavora nella pubblica amministrazione e le categorie più esposte risultano gli impiegati con il 79%; seguono i diplomati con il 52%; infine i laureati con il 24% anche se ultimamente emerge con sorpresa che, il mobbing colpisce anche gli operai.
Per quanto riguarda la durata delle azioni mobbizzanti: il 40% dei casi ha durata da 1 anno a 2 anni; il 30% dei casi oltre 2 anni; il 27% dei casi da 6 mesi a 1 anno.
I dati sopra riportati ci fanno capire quanto sia diffuso questo tipo di comportamento e quanto purtroppo continui a mietere vittime.
Nella giurisprudenza italiana, nell’ambito del lavoro, il fenomeno è stato trattato per la prima volta con la sentenza del Tribunale di Torino del 1999 secondo la quale:
“…il dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori e vengono poste in essere pratiche dirette ad isolarlo dall’ambiente lavorativo, nei casi più gravi ad espellerlo; pratiche il cui effetto grava l’equilibrio psichico del lavoratore, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocandone catastrofe emotiva, depressione e talora perfino il suicidio.”
Una legge importante che tutela la salute e la sicurezza negli ambienti di lavoro è rappresentata dal recente Decreto 81, che pone specifici obblighi di controllo della salute e dell’integrità psichica dei lavoratori.
Credo che siano tutti d’accordo nel considerare il lavoro, un aspetto molto importante nella vita di un uomo e quindi il mobbing appare un fenomeno anche difficile da comprendere e da accettare. Le cause però possono aiutare a chiarire che uno stress prolungato può portare ad esasperare alcuni tipi di atteggiamenti e caratteristiche personali tanto da spingere a “scaricarsi” contro una vittima qualsiasi.
Tra le cause è infatti possibile evidenziare un legame causale con i problemi legati all’occupazione, ad un cambiamento repentino nell’organizzazione (ridimensionamento dell’organico, ristrutturazioni, fusioni), l’evoluzione delle competenze professionali, la volontà di eliminare una persona “scomoda”, una cultura organizzativa che tollera il mobbing o non lo riconosce come un problema; la scarsa qualità del rapporto tra il personale e la direzione, nonché un basso livello di soddisfazione nei confronti della leadership; la scarsa qualità del rapporto tra i colleghi; i livelli estremamente elevati delle richieste che vengono avanzati al lavoratore; una politica del personale carente e valori comuni insufficienti; un aumento generalizzato del livello di stress legato all’attività lavorativa e conflitti di ruolo.
Per quanto complessa sia la situazione, è giusto sottolineare che, sebbene in modo non “indolore”, se ne può uscire: avvocati e sindacati riescono spesso a far valere i diritti dei lavoratori, una famiglia comprensiva e rapporti interpersonali assidui possono alleggerire di molto il carico psicologico del mobbizzato ed infine un percorso di psicoterapia può aiutare le vittime di mobbing a risolvere la sintomatologia in breve tempo.
Se volete approfondire l’argomento, il film più adatto è per antonomasia “Mi piace lavorare (Mobbing)” della Comencini ma anche altre pellicole trattano dei soprusi sul posto di lavoro come ad esempio: “La febbre“, “Philadelphia“, “Il socio“, “Insider – dietro la verità“, “In good company” oppure “L’apparenza inganna“.
Sottolineo sempre e comunque l’importanza, se vi riconoscete in questa situazione, di parlarne con qualcuno!
Questa rubrica è utile per questo ma anche il confidarsi con una persona vicina può essere il primo passo per sentirsi meglio.
La psicoterapia è un ottimo alleato, patologie del genere si risolvono spesso con un percorso mediamente breve (qualche mese)!
Infine è giusto ricordarsi sempre che prima ancora del lavoro veniamo noi stesse! Fidatevi del vostro corpo e dei messaggi che vi manda, se una situazione vi fa star male c’è sempre un rimedio e il vostro primo obiettivo deve essere soltanto quello di stare bene!
Per qualsiasi ulteriore domanda, non esitare a contattarmi scrivendomi qui: psicologia@tentazionedonna.it oppure COMMENTATE QUESTO ARTICOLO ed io vi risponderò! 🙂
Per chi volesse approfondire:
- Il mobbing, Costa Francesca, 2010, Edizioni Scientifiche Italiane
- Mobbing: virus organizzativo. Prevenire e contrastare il mobbing e i comportamenti negativi sul lavoro, Giorgi Gabriele, Majer Vincenzo, 2009, Giunti Organizzazioni Speciali
- Mali di famiglia. Maltrattamenti, stalking, mobbing, gambling, dai racconti dei protagonisti agli aspetti psicologici e giuridici Lupo Gina, Ricapito Vittorio, 2009, Edita Casa Editrice & Libraria
- Le cause organizzative del mobbing. Se il malato fosse l’organizzazione?, cur. Caiozzo P., Vaccani R., 2010, Franco Angeli
- Mobbing e straining. Cosa sono, come riconoscerli, come reagire, come tutelarsi, Tronati Bruno, 2008, Ediesse
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