Conoscendo la sua storia con il senno di poi, possiamo dire che non riuscì a realizzare il suo sogno. La causa fu forse una delusione d’amore, la prima: conobbe il marito, il capitano Rudolf Macleod, in una maniera molto insolita, rispondendo cioè ad un annuncio su un giornale. Quello che però si trovò davanti era un uomo di venti anni più vecchio di lei, che riuscì comunque a farla innamorare.
La coppia si trasferì ad Amsterdam, dove viveva con la sorella di Rudolf. Nel 1897 arrivò il primo bambino per i due, Norman, e la famiglia si trasferì a Giava, a causa del lavoro del capitano.
Nel 1898 nacque il secondo bambino della coppia, Jeanne Louise, una femminuccia.
La vita familiare, intanto, non era delle migliori: Margaretha e il marito litigavano spesso, in più quest’ultimo era dedito all’alcol, da un po’ di tempo. Ma la moglie di un capitano deve assolvere ai propri compiti, per questo Margaretha continuava a seguire il marito nei suoi viaggi e ad accogliere i suoi colleghi nella casa coniugale. Proprio in una di queste occasioni ebbe modo di vedere, per la prima volta, una danza locale di Sumatra e se ne innamorò.
Un anno dopo, nel 1899, il piccolo Norman morì, avvelenato da una medicina indigena. La causa dell’avvelenamento è da sempre al centro di molti misteri: perché la tata indigena somministrò questa medicina? A quale scopo? Fu proprio lei a farlo? Ancora oggi non si conoscono le risposte.
Nel 1900 il capitano lasciò l’esercito e due anni dopo la famiglia torno in Olanda, forse a causa del grande dolore subito.
Poco dopo i due coniugi si separarono, più per volere di Margaretha che di Rudolf. Nel 1903, decisa a cambiare vita, Margaretha lasciò la propria famiglia per recarsi a Parigi. Qui non conosceva nessuno e per vivere iniziò a fare la modella per un pittore del posto.
Per alcuni, arrivò anche a prostituirsi, pur di vivere.
Scoraggiata e delusa, provò a tornare di nuovo in Olanda, ma il ritorno durò poco: nel 1904 era di nuovo a Parigi, dove riuscì ad avere un ingaggio nel mondo dello spettacolo come amazzone. Un anno dopo riuscì finalmente a debuttare, come aveva sempre desiderato: si presentò al Museo Guimet di Parigi come una danzatrice orientale ed ebbe un successo strepitoso.
Nello stesso anno, ormai decisa ad entrare nel mondo teatrale, decise di cambiare il proprio nome in Mata Hari, “Occhio dell’Alba” in malese.
Da questo momento in poi, la vita teatrale di Mata Hari sarà costellata da successi dopo successi, anche in ambito internazionale. Diventò una stella danzante di tutti i teatri del mondo e girò le capitali mondiali, dove veniva ammirata e desiderata da tutti. In Italia si esibì anche alla Scala e in tutti i maggiori teatri del Paese.
Nel 1914, in piena guerra, si trasferì a Berlino. Ma proprio a causa dello scoppio di questa, decise di trasferirsi in Svizzera, per poi tornare in Francia. Alla frontiera, però, fu bloccata e rispedita a Berlino, senza valigie e senza soldi. Qui riuscì a farsi aiutare da un funzionario del consolato olandese, che la mandò a Francoforte.
In questi mesi, conobbe un noto banchiere, che divenne il suo amante. Conobbe anche un Barone, e si innamorò anche di quest’ultimo. Nel 1915 tornò a Parigi, per cercare di riprendere le sue cose, ma un anno dopo fu spedita in Olanda. In questi anni, si fanno frequenti le visite al palazzo consolare tedesco: sono forse questi i mesi in cui Mata Hari viene ingaggiata come spia, al servizio dei tedeschi. Il controspionaggio francese la osservava già da tempo e seguiva tutti i suoi spostamenti: nel 1916 partì per la Spagna e qui fu contattata dal controspionaggio francese, che le chiese di passare dalla parte della Francia. Mata Hari accettò, in cambio di un milione di franchi.
Da questo momento, inizia una sorta di doppio gioco, molto pericoloso: in Francia offriva informazioni riguardo ai tedeschi, continuando a seguire i rapporti anche con la Germania. Nel frattempo, continuava i suoi viaggi: un po’ per danzare, un po’ per lo spionaggio, Mata Hari era sempre in giro per il mondo.
Nel 1917, rientrata a Parigi, Mata Hari fu arrestata dai francesi, che avevano scoperto il suo doppio gioco. Il tutto a causa di un presunto messaggio radio, intercettato dai francesi: un messaggio misterioso, di cui si ignora l’effettiva esistenza. La colpevolezza di Mata Hari era in realtà molto meno evidente di quello che l’esercito francese voleva mostrare, ma in quel momento la decisione era stata già presa.
Durante il processo, Mata Hari negò tutto, ma solo inizialmente. Con il susseguirsi delle prove, dovette poi ammettere parte delle colpe, ma non quella di aver riferito ai tedeschi le mosse francesi. Alla fine del processo, la condanna arrivò ed il verdetto fu tremendo: condanna a morte per fucilazione.
A nulla servirono i numerosi appelli.
All’alba del 15 ottobre del 1917, Mata Hari venne fucilata. Per l’occasione, decise di vestirsi nella maniera più elegante possibile, scegliendo un abito bianco ed un cappello di paglia.
Fu legata ad un palo. Rifiutò di essere bendata, per guardare in faccia i propri aguzzini. Le fucilate furono 11, di cui 3 a vuoto, 2 a segno ed una nel cuore.
Mata Hari morì così. Nessuno reclamò il suo corpo, che venne gettato in una fossa comune. Tranne la testa, che fu derubata negli anni ’50.
Colpevole o meno, la mia domanda è: colpevole di cosa?
Mata Hari non fu altro che il capro espiatorio della follia degli uomini, ciechi e sordi di fronte alla voglia di potere.
Beatrice
Fonte biografia: www.instoria.it
Lascia un commento