La magia è una tecnica che ha lo scopo di influenzare eventi e dominare i fenomeni fisici servendosi di mezzi soprannaturali-paranormali e rituali appropriati e dal punto di vista psicologico trova origine nella ricerca costante di forme protettive e rassicuranti soprattutto in assenza di strumenti in grado di controllare la realtà.
E’ un fenomeno sociale molto diffuso anche oggi e, dal punto di vista psicologico, si basa sulla predisposizione umana al pensiero magico, una forma mentale in comune con il mondo infantile.
E’ una forma di pensiero affascinante e a volte protettivo che, infatti, non abbandona l’uomo neanche con l’avanzare dell’età, motivo per cui tracce del pensiero magico infantile si rintracciano spesso anche nel pensiero adulto quotidiano.
Da recenti studi è emerso, infatti, quanto le madri del sud siano più propense, in situazioni di disagio dei propri figli, a consultare figure non professionali, quali maghi e cartomanti, piuttosto che psicologi.
Una spiegazione si può rintracciare nella cultura fatalista e popolare meridionale, per la quale i disagi psicologici, non possono essere legati a fattori interni alla persona, ma sono dovuti all’azione di forze esterne. Quindi ogni stato alterato è attribuito a malignità esterne, ai famosi “malocchi”.
Vivendo in una cultura in cui è ancora forte questa convinzione a volte, è difficile accettare che eventuali disagi psichici siano da rintracciarsi nella persona e quindi guaribile attraverso un’analisi della psiche, un lavoro di psicoterapia.
Lo psicologo non è visto come un professionista con potere, capacità e strumenti atti a liberare da mali che invadono la nostra esistenza. Ogni negatività non è la risultante di disagi interni alla persona, di eventuali problemi relazionali, di traumi vissuti in passato, ma si ha la convinzione che sia invece riconducibile ad interferenze esterne e che quindi si ha la necessità dell’aiuto di una persona in grado di liberare da queste forze.
La figura dello psicologo in alcune culture popolari è ancora associata a una persona che opera nei manicomi, che interagisce con i gravi malati di mente, non è vista come una persona con cui parlare, in grado di poter aiutare a risolvere i problemi intervenendo su aspetti del comportamento che possono avere delle ripercussioni nella vita sociale e affettiva.
Lo psicologo è visto come chi sfrutta l’inconscio, che ti fa agire contro la tua volontà, che utilizza tecniche durante le quali si ha l’impressione di perdere il contatto con la realtà, come colui che ti dice cosa fare e gli atteggiamenti da avere nelle varie situazioni, come colui che ti tratta da malato, senza tener conto della tua personalità, le tue volontà, i tuoi desideri, del tuo Io.
Ma non è così!
Vivendo e crescendo con tali convinzioni e in un ambiente in cui tutti si conoscono, dove la vita di ogni singolo cittadino è nota a tutti, dove le notizie si diffondono rapidamente, si prova vergogna ad andare dallo psicologo, si ha la sensazione di essere etichettati come “diversi”, come “malati”, come una persona “matta”.
In questo tipo di cultura una persona che decide di rivolgersi a un professionista, anche per una semplice ansia, viene allontanato dalla società, viene additato come diverso.
Tutto ciò porta gli adulti, e purtroppo anche le giovani generazioni, a omologarsi alla massa, a non rivolgersi a professionisti, a non distaccarsi da tali stereotipi e ad andare da persone, spesso anche ciarlatani e truffatori, nei quali si ripone la fiducia per la guarigione.
Chiunque si può trovare in una situazione di disagio, a volte si riesce a focalizzarne la causa ma senza sapere come agire per eliminarla, senza avere la fiducia necessaria nelle proprie capacità o rendendosi conto di non possederle. Chiunque tende a sentire la necessità di rivolgersi a qualcuno.
E’ così che si cerca una relazione d’aiuto cioè un’interazione tra due soggetti di cui uno chiede aiuto per affrontare e superare i problemi e l’altro utilizza le proprie capacità e competenze per fronteggiarli.
Nella relazione d’aiuto necessariamente l’uno promuove la crescita dell’altro come per esempio nel rapporto tra terapeuta e paziente, insegnante e studente, medico e paziente, genitore e figlio.
E’ un modo delicato per indicare un intervento di supporto allo sviluppo del sé, alla comprensione delle proprie motivazioni nel quale una persona è seguita affinché possa raggiungere un adattamento personale a una situazione cui non si adatterebbe senza sostegno o senza l’apporto di un terzo.
Ha risultati parchè facilita nel soggetto il processo di decisione responsabile attraverso risposte di comprensione-facilitazione da parte di un esperto. E questo esperto entra in “relazione con l’altro” e “stabilisce una buona alleanza”, cioè le basi per il lavoro di tutti i professionisti impegnati in un’interazione di aiuto.
Due fattori fondamentali sono l’empatia e l’alleanza: per parlare di empatia è necessario riconoscere e discriminare i sentimenti, assumere la prospettiva ed il ruolo dell’altro e rispondere emotivamente. Perchè l’empatia è quella forma di simpatia che permette l’identificazione nell’altro sia nelle esperienze di dolore che in quelle di gioia.
L’alleanza terapeutica è una dimensione interattiva alimentata dalla capacità di sviluppare una relazione basata su fiducia, rispetto e collaborazione, finalizzata ad affrontare i problemi e le difficoltà del paziente.
Per costruire e far evolvere questa relazione, occorre identificare lo psicologo come una persona affidabile che può comprendere nel profondo e a cui ci si può “attaccare” coscientemente ed in modo fiducioso.
L’interazione con il terapeuta avviene tramite uno scambio di messaggi verbali e non verbali all’interno di uno scenario ben preciso e idoneo all’invio e ricezione di messaggi di un certo tipo.
In questa situazione, per risolvere il problema si possono individuare le finalità della relazione d’aiuto, che possono identificarsi come obiettivi specifici o generali.
Parlando di obiettivi parliamo del fornire un supporto emotivo, aiutare ad alleviare i sintomi, aiutare a prendere decisioni ma soprattutto aiutare ad aiutarsi, sviluppando nel paziente le capacità che gli permetteranno di affrontare, anche in futuro, i problemi quotidiani al meglio.
Per perseguire tali finalità, il terapeuta deve aver conseguito obbligatoriamente dei titoli (Laurea e specializzazione come minimo) e deve quindi possedere determinate cognizioni tecniche e capacità sociali che, che a tempo debito e con le giuste modalità, porteranno l’utente stesso al cambiamento e quindi alla soluzione del problema.
Capacità essenziali sono inoltre: la capacità di informarsi e di colloquiare, di ascoltare/osservare, di comunicare la propria attenzione, di far emergere e precisare i problemi, di essere empatico, di portare a termine (aiutare a stabilire degli obiettivi), di influenzare.
Queste sono le basi per instaurare una sana relazione che aiuti nei momenti difficili!
Una relazione umana dove sentimenti quali il rispetto, l’onestà, la genuinità devono essere presenti e incoraggiati.
Chiunque prometta ricette per la felicità e panacee per tutti i mali non può essere affidabile perchè il cammino verso la felicità è un cammino impegnativo ed in salita.
Potete raggiungere il traguardo solo se, come compagno di viaggio, scegliete la persona giusta.
E voi, se steste male psicologicamente vorreste vicino una persona che attraverso un uso funzionale della psicologia costruisca un percorso “curativo” ritagliato su di voi o una persona che vi prometta una rapida ricetta di ingredienti segreti contro ogni male?
Fatemi sapere!
Per qualsiasi successivo domanda, non esitare a contattarmi scrivendomi a psicologia@tentazionedonna.it
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