In un momento storico come quello attuale, nell’era della globalizzazione in cui sembra non vi siano più ostacoli allo spostamento di persone e famiglie sul territorio, in cui ogni città è popolata da una miscela di etnie, idiomi e culture, in cui il benessere sembra a portata di mano ma sempre più si scivola verso una crisi di valori… risulta quanto mai fondamentale guardare oltre l’occidente, verso il mondo.
Il presupposto è che conoscere le altre culture è sempre un arricchimento, in qualunque forma sia la conoscenza. Inoltre ogni persona è portatrice di valori speciali ed è quindi più che giusto offrire un’opportunità a tutti, a prescindere dal colore della pelle, senza nascondersi dietro al pregiudizio o alla presunzione.
Avvicinarsi al tema dell’immigrazione non significa solo addentrarsi in una mole enorme di dati e statistiche ma vuol dire anche approfondire tutti quegli aspetti intimi e privati di ogni migrante, contro lo stereotipo secondo cui gli immigrati sono uguali tra loro ma diversi da noi.
I migranti sono prima di tutto persone che cercano di costruire un proprio progetto di vita. Certamente l’immigrazione è un fenomeno complesso, in continua mutazione e non sempre è facile dare delle risposte; spesso le soluzioni si rivelano complesse e sicuramente è più facile erigere muri che costruire ponti.
Ma in realtà costruire un ponte vuol dire mettere insieme due sponde, creare un’opportunità per andare oltre, allargare i propri orizzonti, porre le condizioni perché l’una e l’altra parte possano incontrarsi.
Costruire un ponte vuol dire anche accettare quelli che potrebbero essere gli eventuali rischi ben sapendo che i benefici saranno certamente maggiori.
Ma, considerato che la migrazione è una delle sfide politiche e sociali più importanti del nostro secolo, si rende più che mai necessario attivare dei processi di integrazione che mirino a fare in modo che la società assicuri coesione sociale ed accoglienza, unendo tutti i cittadini stranieri e non, nei valori e principi condivisi da tutti.
La migrazione dal punto di vista psicologico
Dal punto di vista psicologico emigrare significa abbandonare, lasciare l’involucro protettivo dei luoghi, delle sensazioni che costituiscono le proprie tracce su cui si è stabilito il codice di funzionamento psichico.
La migrazione è spesso considerata come esperienza traumatica accompagnata da una più o meno profonda crisi d’identità.
L’appartenenza a gruppi minoritari è un fattore che svolge una ruolo importante nella formazione dell’identità: il gruppo sociale può essere infatti considerato come una dimensione sia spazio-temporale che relazionale, dove l’immagine del proprio sé si struttura, anche nella consapevolezza di appartenere ad un certo gruppo etnico.
E non è un problema solo per gli adulti: se c’è discontinuità culturale nei modelli di riferimento legati all’identità, questo influenza particolarmente la quotidianità dell’infanzia e dell’adolescenza.
Sul piano socio-culturale, il conferimento dei diritti di cittadinanza può mitigare ma non risolvere la situazione psicologica in cui vive il minore.
Molti ostacoli rischiano di compromettere la riuscita dell’integrazione nel paese ospite, perché le differenze somatiche e culturali continuano spesso ad essere percepite come segni di diversità e possono trasformarsi in uno stigma sociale che rischia di accentuare il senso di sospensione tra due spazi e due tempi di riferimento.
(fonte immagine: 2008.controradio.com)
L’immigrazione a scuola
Dagli anni ‘80 in poi, con la sempre maggiore presenza di bambini stranieri a scuola, tutte le istituzioni scolastiche tentano di intraprendere un percorso che ha come valore fondamentale l’intercultura tesa a sviluppare valori di rispetto e tolleranza, attraverso la lotta contro il razzismo e la xenofobia.
La scuola è infatti un luogo centrale per la costruzione e la condivisione di regole comuni in quanto può agire attivando una pratica di vita quotidiana che si richiami al rispetto delle forme democratiche di convivenza.
L’educazione interculturale rifiuta sia la logica dell’assimilazione, sia la costruzione e il rafforzamento di comunità etniche chiuse; è una dimensione europea e mondiale dell’educazione che coinvolge tutti come facenti parte di una società multietnica e multiculturale.
Il percorso non è semplice perché implica una nuova visione culturale, che comprende, oltre ad innovazioni metodologiche, una presa di coscienza con diverse priorità ed atteggiamenti. Per quanto riguarda il disagio degli insegnanti, anche loro hanno un bagaglio personale di valori, pregiudizi e rappresentazioni collettive, che talvolta non facilita l’integrazione degli alunni stranieri. Le difficoltà degli alunni stranieri si riferiscono da una parte alle pratiche di inserimento e dall’altra alle condizioni di disagio psicosociale derivante sia dal processo migratorio, sia da problemi familiari, economici e sociali.
Proprio per questo la famiglia immigrata e la famiglia autoctona devono essere coinvolte nel processo educativo della comunità educante affinché il tutto possa attestarsi come fulcro di un cambiamento propositivo per i singoli soggetti e per la collettività.
La famiglia dovrebbe divenire il luogo di crescita e di arricchimento, di tolleranza e solidarietà consentendo così di vivere le sfide quotidiane in termini di miglioramento delle conquiste civili dell’intera umanità.
Un ringraziamento alla Dott. Giovanni Schiattarella per a collaborazione nella stesura
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