L’essere umano sperimenta quotidianamente esperienze antitetiche che però spesso dipendono da una medesima situazione. Una di queste è la presenza di persone accanto a noi che se da un lato può generare affetto, familiarità e sicurezza, dall’altro può scatenare l’effetto contrario: sentirsi soli. Il senso di solitudine non è sempre la conseguenza della mancanza di affetti intorno, ma spesso è frutto di rapporti che esulano dall’essere autentici (o dalla nostra percezione come tali).
L’individuo che avverte tale precarietà viene destabilizzato così dalle sue certezze emotive e l’isolamento, psicologico e fisico, diviene la sua nuova condizione. La solitudine viene così in qualche modo ricercata perchè si avverte la sensazione di non poter comunicare la nostra sofferenza. Tale vissuto talvolta è così intenso che ci si convince che il contatto con gli altri invece che recare conforto possa rimarcare ancora di più il senso di inadeguatezza.
Come ogni situazione però, anche in questi casi c’è il rovescio della medaglia.
Se vissuta come fonte di relax e benessere, la solitudine diviene un toccasana per il nostro cervello il quale qualitativamente funziona molto meglio, arrivando noi ad utilizzarne circa il 60 % di potenzialità. Se al contrario per noi la solitudine è solo sinonimo di disagio e malessere, il cervello si limita a fornire prestazioni per uno scarso 20 %.
Ecco dunque i due aspetti diametralmente opposti della solitudine.
I più vivono tale stato come una sorta di prigione da cui fuggire ad ogni costo, per altri (pochi ancora) rappresenta uno spazio prezioso dove rifugiarsi per recuperare l’equilibrio perso ed allontanare pensieri dannosi. Il vero traguardo è cercare di vivere bene questo stato, il che significa aprire una finestra sul vero Io. Non più abbandono, tristezza e vuoto affettivo, ma possibilità di intimo contatto con se stessi.
Nella tranquillità dell’essere soli possiamo smettere di analizzarci, giudicarci e chiederci ossessivamente quali siano gli atteggiamenti giusti e sbagliati. Diamo unicamente voce alla nostra identità più profonda, non a quella di facciata che, calandoci in un ruolo, ci rende fragili.
Lisa Besutti
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