Un servizio di un noto programma tv ha riportato alla ribalta il problema dell’anoressia, un disturbo che purtroppo continua a fare vittime e che è citato spesso sui giornali nazionali.
L’anoressia è un disturbo che coinvolge la popolazione indipendentemente dalla fascia d’età, lo status socio-economico ed il livello culturale.
Un disturbo del comportamento alimentare che comporta il rifiuto del cibo a causa dell’ossessione di ingrassare. Le conseguenze portano inevitabilmente alla malnutrizione, all’amenorrea, all’inedia, all’emaciazione….
L’anoressia come disturbo sociale
È di qualche settimana fa il servizio sulla ragazza suicidatasi a seguito delle complicanze insorte a causa di questo disagio, notizia che ha riscosso molto clamore ed ha portato l’attenzione pubblica ad argomentazioni spesso accusatorie: verso il sistema, verso una società colpevole di mitizzare la cura del corpo, dell’esteriorità, della bellezza taglia-S…
E’ vero che la nostra società fa rima con benessere, moda e perfezione, un insieme di elementi che indubbiamente condizionano chi sente forte il bisogno di riconoscersi in determinati stereotipi culturali (per esempio gli adolescenti) ma è necessario anche analizzare la questione più nel profondo: in questo caso “conoscere” è più importante che “incolpare”.
Le statistiche sottolineano che questo disturbo è presente in misura significativamente maggiore nei paesi industrializzati, un dato che sottolinea quanto sia quindi indotto culturalmente: in un paese in cui si lotta per ottenere cibo, il valore che esso assume è senza dubbio diverso da quello in un paese in cui è chiaramente abbondante e facile da reperire.
Per esempio in un paese povero, dove il cibo è una presenza rara, sarebbe impossibile sentire una frase del tipo: “vai a letto senza cena” che in un paese “ricco” come il nostro assume un significato di punizione ma rappresenta anche il primo passaggio all’utilizzo del cibo come strumento e non come fonte di nutrimento. Strumento di punizione, di controllo, di premio come anche la frase “sei fai il bravo ti compro le patatine”.
Questo passaggio di significati rappresenta una delle cause che alimentano l’insorgenza del disturbo anche se non l’unica motivazione.
Qual è la fascia d’età più a rischio?
Il periodo più a rischio risulta essere quello adolescenziale e le statistiche lo confermano identificando nella fascia 12-25 anni il picco di incidenza dell’anoressia proprio per la spinta alla differenziazione ed alla costruzione dell’identità personale tipici di questa età.
L’utilizzo del cibo diventa infatti un canale di scarico delle pulsioni più profonde, un campo di prova per verificare se il controllo nell’assunzione dello cibo significhi anche un controllo su sé stessi e sulle proprie emozioni.
Come si riconosce una persona affetta da anoressia?
I casi di cronaca denunciano la morte come conseguenza più terribile e dimostrano quanto sia importante agire velocemente ed in modo specifico, rivolgendosi a professionisti.
Per riconoscere il disturbo, è necessario fare attenzione alle manifestazioni precoci: una riduzione del 15-20% del peso abituale, un’eccessiva attenzione sulle quantità di cibo assunto, un continuo parlare di cibo, un’anomala conoscenza ed attenzione dettagliata ai valori nutrizionali dei cibi, una fissazione per l’attività fisica intensa, un uso eccessivo di purghe e lassativi, seri problemi ai denti (intaccati dagli acidi del vomito), l’assenza di mestruazioni…
Chi soffre di anoressia rifiuta totalmente di mangiare, salta alcuni pasti oppure ha la pessima abitudine di “giocare” con il cibo nel piatto rendendoli interminabili ma soprattutto, finito di mangiare, sistematicamente, dichiara di aver bisogno del bagno (un bisogno presentato come “fisiologico” ma che nasconde la necessità di vomitare).
L’anoressia diventa presto una sorta di “droga” che non lascia spazio a nessun altro campo d’interesse, alimentato anche dalla dismorfofobia, cioè una visione distorta del proprio aspetto esteriore: una ragazza anoressica allo specchio si vede sempre grassa!
Cosa fare?
Le soluzioni “fai da te” oppure la scelta di “lavare i panni sporchi in famiglia” rischiano solo di far precipitare la situazione.
Se si ha il sospetto, non si deve esitare nel consultare uno psicologo. Spesso sono consulti non impegnativi e gratuiti che possono definire meglio la situazione o anche solo informare sulla situazione sospettata.
Prima ci si rende conto che c’è un problema, più possibilità si hanno di risolverlo ed un adeguato e tempestivo intervento psicologico può fare veramente la differenza.
Ho scritto questo articolo con l’aiuto del Dott. Fabio Rizzo
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