Ho scelto l’argomento di questa settimana perchè un certo tratto di dipendenza è presente in ognuno di noi.
E le dipendenze in campo sentimentale sono le più frequenti.
Se sentite dire o pronunciate voi stessi frasi del genere… la “diagnosi” potete farla da soli:
“Non la amo più ma non riesco a lasciarla”
“Sto con lui perchè ha bisogno di me”
“So che per lui sono solo un giocattolo ma non posso vivere senza di lui”
Queste frasi sono solo un esempio ma il succo del discorso è lo stesso: si costruiscono giustificazioni per coprire la necessità che abbiamo dell’altro, necessità che però nasconde una dipendenza che lede quindi la nostra indipendenza personale cioè lo stato verso cui dobbiamo mirare tutti!
In genere frasi di questo tipo nascondono dinamiche di coppia che possono essere considerate dipendenze affettive che differiscono dalle dipendenze da sostanze (alcool, droga, farmaci) solo per l’oggetto della dipendenza, che in questo caso riguarda i sentimenti, gli affetti.
La dipendenza affettiva è una condizione relazionale negativa caratterizzata da un’assenza cronica di reciprocità nella vita affettiva e nelle sue manifestazioni all’interno della coppia, che tende a stressare e a creare malessere psicologico o fisico.
Per dipendenza affettiva si intende anche quella che spesso lega una madre ad un figlio… e che quindi “giustifica” molte donne e madri che si rapportano ai partner dei figli come se fossero perfetti antagonisti cioè come se in realtà, poiché lo hanno partorito, il figlio sia di loro proprietà assoluta.
E questo è solo un esempio perchè purtroppo ci sono anche casi più gravi: si parla di dipendenza affettiva anche per tutte quelle donne che, nonostante le violenze subite, decidono di ritornare e rimanere con il proprio partner aggressore. Alla base sempre la bassa autostima, la paura, la sottomissione, la dipendenza economica ed affettiva, i sensi di colpa verso la società, la famiglia, i figli, la difficoltà burocratica che trovano nella giustizia e purtroppo la poca sensibilità verso questi fatti….
Generalmente però è più frequente che si soffra di questo disturbo nei confronti del proprio partner, donna o uomo che sia.
L’amore, nelle sue diverse forme di attaccamento e nelle sue manifestazioni più positive e più sane, rappresenta una importante capacità e, al contempo, un naturale e profondo bisogno di ogni essere umano.
Talvolta, tuttavia, la frustrazione o l’assenza di esperienze serene di questo sentimento umano, frequenti nell’attuale società ricca di rapporti instabili, possono generare un disconoscimento o una negazione di questo bisogno, che rappresenta invece un importante ingrediente di un sano sviluppo e di una buona salute mentale e fisica nella vita adulta.
Quando un rapporto affettivo diventa un “legame che stringe” o, ancor peggio, “dolorosa ossessione” in cui si altera stabilmente quel necessario equilibrio tra il “dare” e il “ricevere”, l’amore può trasformarsi in un’abitudine a soffrire fino a divenire una vera e propria “dipendenza affettiva”, un disagio psicologico che è in grado di vivere nascosto nell’ombra anche per l’intera vita di una persona, ponendosi tuttavia come la radice di un costante dolore e alimentando spesso altre gravi problematiche psicologiche, fisiche e relazionali.
Possiamo chiamare questa dipendenza “love addiction” e possono essere presenti tre caratteristiche principali (che ricordano anche le dipendenze da sostanze) che la connotano come una forma di “dipendenza”:
- 1. La prima di esse è il piacere connesso alla “droga d’amore” ovvero la sensazione di euforia sperimentata in funzione delle reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri comportamenti;
- 2. La seconda caratteristica, la tolleranza, definita anche dose, consiste nel bisogno di aumentare la quantità di tempo da trascorrere in compagnia del partner, riducendo sempre di più il tempo autonomo proprio e dell’altro e i contatti con l’esterno della coppia. L’assenza della persona da cui si dipende porta pertanto ad uno stato di prostrazione e di disperazione che può essere interrotto solo dalla sua presenza tangibile;
- 3. l’incapacità a controllare il proprio comportamento, una riduzione di lucidità che crea vergogna e rimorso e che in taluni momenti viene sostituita da una temporanea lucidità, cui segue un senso di prostrante sconfitta e una ricaduta, spesso più profonda che mai, nella dipendenza che fa sentire più imminenti di prima i propri bisogni legati all’altro.
L’amore dipendente di conseguenza ha caratteristiche bene precise:
- E’ossessivo e toglie tempo ai propri spazi
- È parassitario e basato su richieste di devozione da parte dell’amato;
- È caratterizzato da una tendenza a ripiegarsi su se stessi e a chiudersi alle esperienze esterne per paura del cambiamento, soffoca qualunque desiderio o interesse personale in nome di un amore che occupa il primo posto nella propria vita.
Coloro che sono coinvolti in un problema di “love addiction” hanno in comune molte cose come la provenienza da una famiglia in cui, soprattutto da piccoli, si è stati trascurati; come le carenze affettive proiettate sul partner così da credere di voler salvare lui quando in realtà si ha bisogno di salvare se stessi oppure una tendenza a rivivere nel proprio rapporto con il partner lo stesso ruolo che si viveva con i genitori anaffettivi per poter ora gestire la carenza affettiva e l’assenza durante l’infanzia della sperimentazione della sicurezza affettiva che spinge in modo ossessivo a controllare la relazione con il proprio partner.
La causa comunque è un latente bisogno di sicurezza ed una tendenza a non riconoscere i propri bisogni di ricevere amore.
La letteratura in merito indica un’alta incidenza nella popolazione femminile e la tendenza ad emergere in quelle persone che soffrano di disturbi da stress post-traumatico, a causa di passati abusi o maltrattamenti che probabilmente hanno portato poi allo sviluppo di forme affettive dipendenti.
La terapia di questo tipo di disturbo si basa su una prima consapevolezza che la relazione affettiva che si sta vivendo non è “sana” dal punto di vista psicologico e successivamente ci si deve impegnare a cambiare il modo di agire, pensare e sentire fin quindi a cambiare comportamenti, atteggiamenti e pensieri.
Con un buon percorso psicologico si riacquista l’accettazione di sè e degli altri, l’autostima, la coscienza dei propri sentimenti e soprattutto si comprende appieno quanto la propria serenità sia al centro di tutto.
Per approfondire vi consiglio di vedere i film: “I giorni dell’abbandono”, “L’attimo fuggente” o “Baciami ancora”.
L’importante è che, se vi riconoscete in alcuni di questi sintomi, è bene che ne parliate con qualcuno.
Parlarne con uno psicologo non significa “essere matti” ma è solo raccontare un po’ di sè come se si avesse davanti un amico che ha gli strumenti giusti per aiutare a star meglio.
Ma prima ancora, è giusto ricordarsi sempre che, come detto anche prima, la cosa più importante è la nostra felicità e puntare sempre al meglio!
Per qualsiasi ulteriore domanda, non esitare a contattarmi scrivendomi qui: psicologia@tentazionedonna.it
Per chi volesse approfondire:
- Miller D., Donne che si fanno male, Feltrinelli, 1994.
- Norwood R., Donne che amano troppo, Feltrinelli, 1985.
- Maiolo G, Franchini G., Se l’amore ferisce, Erickson, 2008.
- Balestrieri A., L’amore imperfetto, Psiconline, 2006
- Reynaud M., L’amore è una droga leggera, Tea libri, 2009.
Beatrice dice
Articolo interessante!
Mi capitò con il mio ex: stavamo insieme da 6 anni ed era almeno un anno che sentivo di volerlo lasciare.
Solo che non ci riuscivo….mi sentivo in colpa solo all’idea di farlo!
Poi ho riflettuto….ho capito che non potevo continuare in quel modo e l’ho lasciato, anche se con non poco dolore!
Sono scelte dure, ma fondamentali!!
fabio ricci dice
davvero molto interessante complimenti
Cristina Colantuono dice
Sì, quando si comprende che il meccanismo alla base di un rapporto così è “patologico”, seppure con difficoltà ma è necessario essere sinceri!
Se non si riesce… lo psicologo può essere d’aiuto! 🙂
@Fabio
Grazie!