Parliamo di psicologia positiva. Un qualcosa che, portato all’estremo, preoccupa il mondo scientifico e le case farmaceutiche in primis. Uno stile di vita, un focalizzarsi sul benessere e sulle sensazioni positive che porta un miglioramento evidente nella vita di un uomo. Un qualcosa da augurare a tutti!
Campo d’interesse della psicologia positiva non è più quello di occuparsi delle cause dell’infelicità dell’uomo ma al contrario di ciò che può renderlo felice; un approccio centrato sullo sviluppo delle potenzialità inespresse, sull’autoconoscenza e l’esercizio consapevole e intenzionale delle emozioni positive e delle qualità personali.
Il rapporto emozioni/cognizioni è una delle più antiche e controverse questioni della psicologia. Il dominio dell’una sull’altra ha caratterizza l’approccio clinico in psicoterapia per decenni.
Attualmente è evidente che, in un sistema complesso, a seconda delle situazioni una componente domina sull’altra e viceversa: per la psicologia positiva (Seligman) l’esercizio delle emozioni positive è legato all’esperienza immediata del “qui ed ora”, dell’immediato, del presente mentre il passato, avendo una valenza deterministica, è dominato dal pensiero.
Le emozioni negative rivestono un ruolo determinante ma coesistono al pari di quelle positive in quanto noi tutti abbiamo una sorta di timone genetico che traccia la rotta della nostra vita emotiva. Il tasso di emotività positiva è determinato a livello costituzionale ma il suo sviluppo dipende dal suo esercizio volontario ed intenzionale.
Tutti nascono con una serie di attitudini ed il massimo della felicità è dato dalla capacità di autorealizzazione cioè di esprimere sé stessi e le proprie potenzialità in pienezza.
Ogni essere umano tende, attraverso un processo di “autoconoscenza” e di “autopoiesi”, alla maturazione ed alla piena e completa realizzazione di sé.
Quali sono i fondamenti della felicità?
Secondo Fordyce sono:
- Essere più attivi e tenersi occupati;
- Passare più tempo socializzando;
- Essere produttivi svolgendo attività che abbiano significato;
- Organizzare meglio e pianificare le cose;
- Smettere di preoccuparsi;
- Ridimensionare le proprie aspettative e aspirazioni;
- Sviluppare pensieri ottimistici e positivi (interpretazione della realtà);
- Essere orientati al presente;
- Lavorare ad una sana personalità;
- Sviluppare una personalità socievole;
- Essere sé stessi;
- Eliminare sentimenti negativi e problemi;
- Ricercare la fonte principale della felicità nei rapporti intimi;
- Considerare la propria felicità la priorità numero 1.
Ogni individuo tende ad evolversi, si differenzia da chi gli sta intorno ed integra tutti i suoi aspetti fino a diventare un individuo “complesso”.
Il punto finale della crescita individuale è quello in cui l’essere umano, pur riconoscendosi unico, è in armonia con la complessità dell’universo: una persona che ha raggiunto questo stadio può essere definita felice, poiché non ha bisogno di null’altro.
Attraverso il percorso dell’autoconoscenza l’uomo si spoglia delle false credenze e degli automatismi disfunzionali e attraverso un processo di disidentificazione ritrova un rapporto autentico con se stesso e con i valori essenziali dell’esistenza, quindi con la felicità.
Lo “psicologo positivo”
Negli ultimi anni, gli psicologi hanno accantonato i presupposti della psicologia classica ed hanno iniziato a pensare agli stati d’animo secondo la loro sfera positiva: per analizzare il benessere e la qualità della vita di una persona, gli unici indicatori non sono più salute, ricchezza e ruolo sociale perchè rappresentano sempre delle variabili comunque personali.
E’ necessario quindi concentrarsi sulla ricerca di indicatori soggettivi, utilizzando due prospettive:
1) edonica: studia il piacere personale, il benessere e tutte le sensazioni ed emozioni positive che ne conseguono;
2) eudaimonica: basandosi sugli studi di Aristotele, studia i fattori che aiutano a sviluppare e realizzare le potenzialità di ognuno fino al vivere una “vita compiuta”, in armonia tra il sé ed il mondo.
Lo psicologo utilizza quindi interventi che attivano abilità e risorse del paziente, sostenendolo nella rottura di automatismi come “è più forte di me” e restituendogli la voglia e la capacità di azioni nelle situazioni quotidiane, aprendo l’interesse verso il benessere nella collettività e non più solo nell’individualismo.
Martin Seligman, uno dei maggiori esponenti di questa corrente, è convinto che chiunque possa modificare la propria vita, il modo di interpretare ed affrontare le situazioni ed assumere un punto di vista ottimistico della vita.
Ad alti livelli, molti colleghi sono convinti che tale modalità di affrontare la vita aiuti concretamente nel perseguimento del recupero fisico e nel raggiungimento della guarigione.
Un considerare cioè la malattia come momento di riflessione, di comprensione e di cambiamento, uno spostamento importante d’attenzione dal corpo alla psiche per perseguire un benessere mentale che influenzi anche quello corporeo: “l’atteggiamento del malato è più importante di molte medicine” . Concetto presente infatti nella Psiconcologia (la disciplina che si occupa dell’assistenza psicologica ai malati oncologici).
E la psicologia positiva incarna proprio il concetto di potere della psiche sul corpo… ragion per cui non è molto ben vista dalle case farmaceutiche….
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