“Quelli che nascono mostri sono l’aristocrazia del mondo dell’emarginazione… […] Io mi adatto alle cose malmesse. […] Se qualcosa non è a posto di fronte a me, io non la metto a posto. Mi metto a posto io”. Diane Arbus.
Molte delle grandi donne della storia che conosciamo sono icone dello spettacolo immortalate innumerevoli volte in ritratti fotografici. Oggi, invece, parliamo di una donna che ha passato la vita dietro l’obiettivo: Diane Arbus.
Diane nasce nel 1923 a New York e non è l’unica a possedere una vena artistica in famiglia: suo fratello maggiore è un poeta, la sorella minore è una scultrice, il padre stesso, proprietario di una catena di grandi magazzini, una volta in pensione si dedica alla pittura.
Appena quattordicenne, Diane conosce Allan Arbus, che lavora in uno dei grandi magazzini del padre. Lo sposerà a soli 18 anni e per lui rinuncerà all’università.
Durante la seconda guerra mondiale, Allan presta servizio nell’esercito come fotografo e al suo ritorno i coniugi aprono lo studio “Diane&Allan Arbus” lavorando per Glamour, Seventeen e Vogue.
All’inizio sembrava semplicemente l’assistente del marito, ma poi comincia a studiare fotografia con con alcuni tra i migliori esperti. Conosce anche un giovane fotografo: Stanley Kubrick. E, alla fine, Diane si apre e trova il suo stile.
In questo periodo, il matrimonio con Allan comincia a consumarsi. Ci vorranno dieci anni per la loro separazione, che avviene nel 1969.
Fino a qui, quella di Diane Arbus sembra una vita normale: matrimonio, due figlie, il lavoro con il marito, la separazione. Cose che possono capitare a tutti. Ma la grandezza di questa donna non sta negli avvenimenti personali, bensì nei soggetti che fotografa.
L’Hubert’s Museum, il Club ’82, ma anche le strade, i parchi… sono i luoghi in cui Diane trova i suoi soggetti: i Freaks. Nani, giganti, trans, nudisti, prostitute, circensi… le foto di Diane non sono disturbanti per i loro protagonisti, ma per chi le guarda, anche quando i soggetti sono persone “normali”: basti pensare alla foto scattata a Central Park: Diane chiede ad un bambino magrissimo che gioca con una finta granata di fotografarlo. Lei gli dà una serie di indicazioni, finché il bambino non si innervosisce e, in quel preciso istante, lei scatta. Il risultato è una foto di grande impatto emotivo.
Per non parlare della foto scattata alle gemelle: così vicine da sembrare siamesi, gli elementi scuri (gli abiti, i capelli…) e quelli chiari (il colletto, il muro…) danno vita ad un impressionante contrasto, gli sguardi persi nel vuoto in una calma quasi apatica risultano inquietanti. Diane non fotografa solo i cosiddetti “Freaks”, ma riesce a rendere tali anche dei soggetti familiari come due bambine. Avete mai visto Shining di Kubrick? Sì, si ispira ad un romanzo di Stephen King, ma nel romanzo ad abitare nell’hotel sono due gemelli. Nel film, invece, ci sono due gemelline, proprio per rendere omaggio a questo scatto di Diane Arbus.
E ancora, la foto al gigante, le foto ai nani e alle prostitute, la foto all’uomo tatuato persino sul viso… Diane afferma: “Vedo la divinità nelle cose quotidiane”. Questa è la chiave del suo stile unico.
Il MOMA comincia ad esporre le sue fotografie, lei viene etichettata come “La fotografa dei mostri”, poi comincia ad insegnare fotografia e anche lì è anticonformista: libri? Assolutamente no, solo visite ai musei.
Nel 1971 si suicida assumendo una massiccia dose di forti sonniferi e tagliandosi i polsi mentre faceva il bagno. La sua vita non è stata lunga, ma lei rimarrà per sempre nella storia. Un’osservatrice rivoluzionaria che instaurava con i suoi soggetti profondi rapporti di amicizia, uno stile unico che mai potrà essere replicato.
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