(fonte immagine: mammaoggi.it)
Quando giunge alle nostre orecchie la notizia di una bambina di 20 mesi strappata alla madre, come la storia di Emma portata dal padre in Siria, propria terra d’origine, con il divieto di ricongiungersi alla madre, ci si chiede come questo possa succedere.
E’ veramente difficile credere che un padre possa imporre alla propria figlia una tanto dolorosa lontananza e soprattutto accettare la violenza di un atto che non solo priva uno dei genitori della vicinanza del figlio ma priva anche il bambino in questione di quell’accudimento necessario per diventare un adulto capace di vivere in modo soddisfacente la propria esistenza.
Ma cosa c’è dietro questo comportamento?
Questo tema apre una finestra sulla condizione della famiglia nel mondo occidentale poiché il rapimento di un figlio è solo la punta dell’iceberg di una realtà piena di separazioni conflittuali nelle quali sembra essere proprio la prole a pagare il prezzo più alto.
Da un punto di vista sociologico potrebbe dipendere dai cambiamenti strutturali che negli ultimi decenni hanno dato vita a nuovi assetti familiari: famiglie di fatto, famiglie ricomposte, interculturali…
Senza contare che separazione e divorzio comportano sempre un forte impatto sul benessere di adulti e bambini coinvolti, proprio perché tale separazione non avviene solo esteriormente ma produce anche interiormente un vissuto costellato di sensazioni fortemente contrastanti.
La separazione è sì un evento critico ma può essere vissuto come occasione per attivare le risorse per un cambiamento in positivo dell’intera struttura familiare.
Purtroppo ciò non è frequente e si registrano solo innumerevoli fattori di stress come per esempio lo spostamento della responsabilità educativa su un solo genitore, i conflitti con tra ex coniugi e i sempre più seri problemi economici.
Per i bambini, tale evento, può invece portare a conseguenze più gravi come una diminuzione del sostegno e anche del controllo genitoriale e, in alcuni casi, ad una totale perdita di rapporto con uno dei genitori.
Gli adulti, benchè tali, appaiono frastornati dal dolore, confusi, amareggiati, arrabbiati, depressi e tale stato d’animo li porta a dimenticare i doveri del ruolo genitoriale ed a commettere gravi errori verso i figli…
Cos’è la Sindrome da Alienazione Genitoriale
E’ comunque sempre più difficile per gli addetti ai lavori capire quale siano le soluzioni più giuste nei singoli contesti proprio per la complessità dei fattori in gioco.
Spesso un figlio si mostra ostile nei confronti del genitore non affidatario senza che vi siano reali motivazioni che giustifichino questo sentimento ma che uno psicologo può facilmente imputare alla Sindrome da Alienazione Genitoriale, una situazione non riconosciuta scientificamente ma molto spesso individuata nei casi di separazione e divorzio.
In questi casi può essersi verificato che il genitore affidatario, attraverso una campagna denigratoria più o meno esplicita, sia riuscito a incrinare la relazione, forse già debole, tra il figlio e l’altro genitore.
La conseguenza è che il figlio, col passar del tempo farà suoi questi pensieri indotti mostrando tale sentimento negativo come generato in modo indipendente.
Anche questo caso può essere letto metaforicamente come un rapimento, il privare un figlio di un genitore, della sua relazione con lui ed il renderlo interiormente figlio di un genitore solo.
Come può aiutare lo psicologo?
La separazione viene definita da alcuni studiosi come un evento relazionale, non limitato temporalmente alla separazione ed al divorzio, ma che continua ad avere un forte impatto nelle vite di chi l’ha vissuta anche dopo la definizione degli accordi legali che la sanciscono.
E’ uno degli eventi più stressanti nella vita di un uomo ed infatti è rappresentato dalle stesse fasi di chi deve elaborare un lutto.
Davanti al dolore, alla disperazione ed al disorientamento di dover ri-organizzare una vita intera non più in due ma da soli, diventa indispensabile l’intervento psicologico.
(fonte immagine: centroeidos.blogspot.com)
Lo psicologo sostiene infatti la relazione tra figli e genitori affidatari e tra figli e genitori non affidatari sia ne cosiddetti Spazi neutri, spazi protetti in cui la presenza di personale qualificato permette una sana gestione degli incontri genitori-figli in un ambiente “terzo” che ne garantisce l’imparzialità, sia attraverso percorsi di sostegno alla genitorialità o di terapia familiare composti da incontri singoli, di coppia o familiari.
In questi casi si attiva anche una sorta di prevenzione di atteggiamenti interiori che rischiano col tempo di cronicizzarsi.
E’ necessario ricordare però che, nel trattamento di minori, è necessario il consenso informato di entrambi i genitori.
A meno che non sia un Giudice a richiederlo, spesso purtroppo è solo uno dei due genitori a richiedere questo intervento… ma, a scopi terapeutici, poco importa: l’importante è agire in qualche modo sulla situazione ed anche il percorso terapeutico intrapreso solo da un genitore può aiutare a sbloccarla poichè egli stesso può essere sostenuto nel diventare elemento di cambiamento nel sistema familiare!
Non caricate le vostre spalle di tutto il peso… richiedete un incontro gratuito!
Ho scritto questo articolo con l’aiuto della Dott.ssa Valentina Michela
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