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Immaginate di svegliarvi una mattina, di alzarvi dal letto e di trovare davanti ai vostri occhi qualcuno che vi chiama per nome e che vi dice che la colazione è pronta.
Niente di più piacevole… ma se questo qualcuno ha le fattezze di un vostro familiare (madre, padre, figlio/a, marito, moglie ecc.) ma voi avete l’esatta percezione che non sia così?
Allora siete affetti dalla Sindrome di Capgras.
Cosa sta succedendo?
Abbiamo riconosciuto la persona davanti a noi ma non sappiamo cosa vuole da noi perché non proviamo niente, non associamo spontaneamente emozioni e sentimenti a lui ed anzi… cominciamo invece a credere che stia fingendo di essere un nostro parente ma in realtà vuole ingannarci!
Questa strana situazione, purtroppo, può essere spiegata con la diagnosi di un particolare disturbo neurologico detto Sindrome di Capgras.
E’ una patologia neuropsichica molto rara che prende il nome dallo psichiatra francese che la studiò nel 1923, detta anche “illusione del Sosia” o “illusione del doppio”.
Secondo recenti studi, questo disturbo è causato da un’interruzione di collegamenti tra le aree cerebrali deputate al riconoscimento del volto, il giro fusiforme e le aree deputate a realizzare la coloritura emozionale del riconoscimento, l’amigdala.
Le aree deputate al riconoscimento del volto non sono danneggiate, e questo permette al paziente di riconoscere un parente, purtroppo però non prova verso di lui nessuna emozione e ciò fa sì che il soggetto entri in una forte dissonanza cognitiva che lo porta a darsi l’unica risposta possibile al suo stato di totale mancanza di emozione davanti a quel viso conosciuto: la persona che sta guardando è un sosia, un impostore, che ha intenzioni malvagie e ingannevoli.
Nel 58% dei casi, nei pazienti affetti da questa sindrome, si verificano anche altri disturbi psichiatrici, quali la schizofrenia paranoide e i disturbi affettivi.
Accanto alla spiegazione di tipo biologica, ne esiste anche una di stampo psicoanalitico: il paziente riverserebbe sul sosia i sentimenti che sono diretti verso la persona con cui deve confrontarsi; così, essendo il sosia un impostore, il paziente può “permettersi” di provare rabbia, collera e di respingerlo senza provare timore. Secondo alcuni studiosi, nell’esperienza delirante del paziente sono in gioco tre persone: il malato, l’alter (la persona nota al paziente) e l’alius (il sosia).
In questo modo il paziente sposta i suoi affetti (spesso aggressivi) sull’alius, risparmiando l’alter.
Come viene trattata la sindrome di Capgras?
Il trattamento della sindrome di Capgras è molto impegnativo in quanto il paziente è estremamente convinto che la persona che dice di essere un suo parente sia un sosia, quindi qualunque tentativo di sfatare questa convinzione, incontrerà una forte resistenza.
Il disturbo viene trattato con i farmaci, di solito anti psicotici, e la psicoterapia.
Per quanto riguarda quest’ultima, è necessario che il terapeuta instauri una buona alleanza terapeutica con il paziente e che non confermi, né smentisca l’illusione del paziente, solo successivamente il paziente verrà aiutato a comprendere che soffre di un delirio.
Purtroppo nei casi più gravi in cui sia presente un progressivo danno cerebrale, questo disturbo non è curabile e spesso porta a confondere le identità dei membri della famiglia tra loro.
Per approfondire
La sindrome di Capgras è descritta particolarmente bene nel volume “Che cosa sappiamo della mente” di Vilayanur S. Ramachandran, neurologo indiano e professore all’università della California di San Diego.
Nel libro, Ramachandran racconta di un paziente che al risveglio da un incidente stradale, guardando la madre accorsa al suo capezzale, si rivolse al dottore sussurrandogli che questa donna assomigliava in maniera impressionante a sua madre ma sicuramente non poteva essere lei!
Da questo aneddoto, è ancora più evidente la mancanza di connessione tra strutture deputate al riconoscimento dei volti e le strutture da cui si originano le emozioni.
Per qualsiasi ulteriore domanda, non esitare a contattarmi scrivendomi a: psicologia@tentazionedonna.it
Ho scritto questo articolo con l’aiuto della Dott.ssa Luisa Gammarota
Dott.ssa Cristina Colantuono
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