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A quanti di noi è capitato di passeggiare per strada e incontrare un vecchio amico che non vedevamo da un po’, salutarlo e non ricevere risposta? Le risposte che solitamente ci diamo sono due: o non voleva parlare con noi o più semplicemente non ci ha riconosciuti. E se il nostro amico soffrisse di un raro disturbo?
L’agnosia è un disturbo del riconoscimento visivo e non può essere spiegato sulla base di un difetto dei sensi o di un deterioramento mentale. E’ un disturbo che può coinvolgere tutti i sensi come le agnosie della vista, del tatto e dell’udito.
Le agnosie visive sono le più frequenti e ne sono affetti coloro che lamentano di aver problemi a riconoscere oggetti, dimensioni spaziali, volti e immagini mentali.
Per ottenere una diagnosi di agnosia, si deve possedere un deficit in una modalità sensoriale specifica: cioè non si riconosce uno stimolo con uno dei 5 sensi ma lo si riesce a riconoscere con uno degli altri.
Per svolgere il test più comunemente usato per riconoscere la presenza di questo disturbo, si posizionano due immagini a 3 sezioni davanti al paziente: nella prima c’è un volto raffigurato in 3 angolazioni differenti e nella seconda ci sono i volti di 3 persone.
Infine gli si chiede se è in grado di riconoscere, fra i 3 volti diversi quale è quello raffigurato dalle 3 angolazioni dell’altra immagine.
Tornando all’esempio dell’amico incontrato per strada, si parla di prosopagnosia, il disturbo cioè che ci impedisce di riconoscere i volti. Un disturbo che colpisce il 2% della popolazione e che nel cervello rappresenta la categoria di stimoli legata ai volti ma che non intacca la capacità di riconoscere gli oggetti.
Il motivo di questa particolarità è dovuto al fatto che i volti sono uno stimolo complesso in 3D e per riconoscerli è necessario mettere in moto sofisticati processi in grado di cogliere elementi diversi tra loro ma legati da relazioni spaziali.
Ma quali sono le cause? E come fa un prosopagnosico a riconoscere una persona?
Di solito questo disturbo è dovuto a lesioni cerebrali, alla presenza di un tumore in zone specifiche del cervello oppure a processi degenerativi.
Riconoscere comunque una persona è invece possibile attraverso altri canali come per esempio la voce, l’abbigliamento, l’andatura, ecc.
Nei casi più gravi non si è in grado di riconoscere le espressioni delle emozioni o addirittura il sesso di una persona dal suo viso.
Per tali motivazioni, il disturbo condiziona pesantemente la vita di chi ne è affetto e comporta, a lungo andare, anche l’isolamento sociale poiché una persona che non riconosce un viso può essere scambiato per un altezzoso, presuntuoso o scontroso.
Un libro e un film per capirne di più
Per capire meglio il disturbo, il libro “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” di Oliver Sacks è molto chiaro nel descriverlo.
Il protagonista è infatti un musicista al quale capitava sempre più spesso, a causa di un tumore o di un processo degenerativo, non solo di non riconoscere le facce ma anche di vederle là dove non c’erano.
Per strada per esempio gli capitava di dare affettuosi colpi agli idranti e ai parchimetri scambiandoli per teste di bambini oppure rivolgeva la parola ai pomelli dei mobili e si stupiva anche di non ricevere risposta.
L’autore, nell’esaminare il caso, si rese conto che la vista del musicista era buona e che i suoi occhi si spostavano in modo rapido da un dettaglio ad un altro ma non riusciva a vedere l’insieme di un oggetto e soprattutto di un volto.
L’uomo vedeva solo dettagli che individuava come puntini sullo schermo di un radar e questo gli capitava con chiunque: familiari, i colleghi, amici…
Addirittura non riconobbe neanche se stesso e scambiò la testa della moglie per un cappello tanto da provare a sollevarlo per metterselo in testa!
Anche il film “Agnosia” (2010) diretto da Eugenio Mira può aiutare chi è interessato al disturbo ad approfondire meglio le sue caratteristiche.
Il film racconta di Joana, la figlia minore degli inventori di un complicato telescopio per fucili.
Durante una dimostrazione, Joana cade e sbatte la testa ed il forte colpo le provoca un’agnosia generalizzata e la prosopagnosia.
La malattia della figlia fu devastante per la famiglia sul piano sociale ed i genitori arrivarono a distruggere il loro stesso telescopio provocando tutta una serie di complicazioni.
Cosa fare?
Al momento nessuna terapia si è dimostrata efficace nel contrastare la prosopagnosia.
Per rimediare al proprio deficit, il metodo più utilizzato è abituarsi ad usare altri dettagli per riconoscere le persone che ci circondano.
Esistono comunque numerose ricerche a riguardo e per promuovere la conoscenza di questo disturbo, che coinvolge almeno il 2% della popolazione (e di cui soffrono quindi milioni di persone pur non sapendolo), è stato creato un sito internet specifico (www.faceblinding.org) che permette di approfondire l’argomento e contattare i ricercatori per effettuare il test di diagnosi.
In questo caso non c’è nulla di più vero di ciò che scrisse San’Agostino:
“Un’abitudine, se non contrastata, presto diventa una necessità”.
Ho scritto questo articolo con l’aiuto della Dott.ssa Luisa Gammarota
Per qualsiasi ulteriore domanda, non esitare a contattarmi scrivendomi a: psicologia@tentazionedonna.it
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